Intervento dell'Avv. Giovanni Avesani

Presidente UGCI Verona

Io ringrazio dell'invito anche se mi sento molto inadeguato al compito affidatomi, essendo più un operatore pratico che uno studioso.

Il  tema  affidatomi richiederebbe uno spazio ben più ampio, però cercherò  di  dare qualche pennellata per capire di fatto come si svolge nel processo la tutela dei minori, o meglio, come non si  svolge tale tutela nei procedimenti di separazione e di  divorzio.

Noi sappiamo che i bambini, i figli, sono le maggiori vittime del fallimento di un matrimonio, quelli che pagano il prezzo più alto. Mi è piaciuto molto quello che diceva Monsignor Ruiz perché i  minori  più che un interesse hanno un vero  e  proprio diritto  ad avere non solo un padre o una madre, ma anche ad avere  una famiglia.

Quindi, nel momento in cui si rompe l'unità  familiare, è  importante cercare comunque di salvaguardare  questo  diritto.

Tale aspetto viene sempre sottovalutato nell'ambito dei procedimenti.

L'articolo 29 della Costituzione non può lasciare  dubbi  in   proposito  quando  parla di “diritto della famiglia”  come  società naturale fondata sul matrimonio.

Anche il successivo articolo 31 stabilisce  l'obbligo  della Repubblica di agevolare  con  misure economiche  ed altre provvidenze la formazione della  famiglia  e l'adempimento dei compiti relativi.

Quindi per la Costituzione è la famiglia, nel suo insieme,  che  trova e deve trovare tutela.

Nella  realtà  invece vediamo  come la legislazione vigente non  pare  sufficientemente attenta  nel  salvaguardare in modo  preminente  l'interesse  dei figli  quali  soggetti certamente più deboli e  indifesi.  Da  un lato, infatti, come è già stato segnalato, al momento del sorgere della crisi i genitori sono talmente concentrati e tesi a  risolvere il loro conflitto personale che di fatto, pur  inconsapevolmente, non vogliono e più spesso non possono vedere il dramma che vivono i loro figli per la rottura dell'unità familiare. Dall'altro  lato i figli sono completamente assenti nel processo che  si viene a instaurare per dare un assetto regolato alla separazione; non  hanno  voce,  non hanno nessuno che faccia  valere  le  loro istanze  e le loro aspettative. Tutto, in fondo, è lasciato  alla  sensibilità e all'intuizione degli organi giurisdizionali: il Presidente  del Tribunale, il Giudice Istruttore e il Collegio. Tali organi  però prendono  le  statuizioni ritenute  maggiormente  convenienti  più sulla scorta della loro esperienza e della loro intuizione, che di  dati obiettivi.

In questo senso, a mio parere, sono ad accogliere con grande favore le proposte di legge che intendono far intervenire nel procedimento per separazione e divorzio anche i  minori, attraverso  un curatore speciale che ne tuteli gli interessi, e  non solo quelli patrimoniali.

Non è sufficiente questo, sia chiaro, però è necessario far capire che anche i minori hanno da dire la loro nella rottura dell'unità familiare.

E` importante che ci sia qualcuno che faccia sentire  questa  voce.

Sarebbe infatti auspicabile che qualcuno  al  di fuori delle parti interessate - i genitori - faccia valere questo diritto a conservare un minimo di unità familiare, anche attraverso i rapporti con le famiglie di origine, cioè con i nonni, con  gli  zii, con i cugini. E ciò attraverso l'esercizio effettivo e quanto più possibile concordato della patria potestà da parte di entrambi i genitori, ciascuno con il proprio specifico e insostituibile ruolo.

Certamente,  come è stato sottolineato, il momento più tragico  per  i figli è quello della separazione, cioè il momento in cui  avviene la disgregazione del nucleo familiare.

Nel divorzio, per  la mia esperienza che ho in materia ormai da oltre 20  anni, solitamente la  situazione è cristallizzata, nel senso  che  nella  maggior  parte  dei casi i genitori hanno  raggiunto  negli  anni della separazione un certo equilibrio di rapporti e comportamenti e anche i minori si sono spesso adattati alla situazione.

Col tempo si  stemperano  le tensioni, ci si adatta, si crea  un  modus vivendi,  un  equilibrio,  anche se in verità sempre molto precario.

E’  quindi  più difficile, nel divorzio, che si manifestino quelle tensioni che ci avvertono invece nel  momento della separazione. Poi, in molti casi, il  divorzio sancisce  solo  la fine giuridica del matrimonio  in  quanto  già dalla separazione i coniugi, oggi, si sentono più che mai liberi da ogni  vincolo e quindi liberi anche di instaurare nuove relazioni  anche  more uxorio.

E` sintomatico che quasi tutti, dopo la  separazione, parlano  di  “ex  marito” e di “ex moglie”.

Già  è  la fine,  già è finita, non è un momento di separazione ai  fini  di una seria riflessione sulla possibile riconciliazione. No, sono già orientati al divorzio e alla creazione di nuovi nuclei familiari.

Comunque  sona alla fine definitiva del rapporto.

Come ho già accennato, al momento della separazione non esiste, a mio modo di vedere, una adeguata tutela per i minori.

E questo sia che la separazione sia consensuale  che  giudiziale.

Anzi, forse, in taluni casi – e ciò può sembrare strano – direi che è quasi  più  pericolosa  la separazione consensuale di quella giudiziale (purchè condotta con saggezza ed equilibrio), sotto il profilo che poi  vedremo.

Parliamo ora brevemente della separazione consensuale, nella quale i coniugi, congiuntamente, nel ricorso introduttivo  oppure all'udienza presidenziale, se viene trasformata la giudiziale  in consensuale, concordano tutte le modalità di regolamentazione dei loro rapporti, sia patrimoniali sia attinenti all'esercizio della potestà  sui figli minori.

Siamo veramente sicuri che questi  accordi  siano sempre  presi  nell'interesse dei minori?

Questo è il  punto.

Il Tribunale dovrebbe, in sede di udienza presidenziale di comparizione delle parti o comunque in sede di omologa della  separazione,  verificare la corrispondenza degli accordi raggiunti  agli effettivi interessi dei minori.

Avviene questo nella prassi?

Sappiamo benissimo che non avviene mai.

Tutt'al più avviene un controllo sotto il profilo  economico.

In sede di omologa ho visto il rifiuto del Tribunale a ratificare solamente gli accordi di natura economica perchè non tutelavano adeguatamente i minori.

I problemi di carattere economico  non sono  spesso  le  sole questioni da trattare nella fase preparatoria e precedente all'instaurazione del procedimento.

Anzi, a  volte sono questione se vogliamo anche secondarie.

Si assiste per altro verso invece allo standardizzarsi di una prassi relativa all'affidamento dei minori che consiste di solito nella facoltà per il genitore non  affidatario di  vedere e tenere con sé i figli per uno o più pomeriggi/sere alla  settimana,  a  seconda dell'età dei bambini; per un fine settimana ogni 15 giorni; per un periodo 4 o 5 settimane durante l’anno e via dicendo.

Ormai sono quasi delle clausole di stile, degli standards prefissati su cui il Tribunale non valuta: se c'è l'accordo, tutto è risolto.

Anche la scelta del genitore affidatario  è fatta quasi sempre a favore della madre, senza  per  altro una  attenta valutazione dell'effettivo interesse dei minori  che non è solo quello affettivo.

Qui ci sarebbe un discorso da aprire sulla figura della madre, su questa iper valutazione – ne accenneremo  dopo - della figura materna.

I minori, i bambini,  non  hanno solo  bisogno di affetto: hanno bisogno anche di altro.

Io non dico quale sia  la soluzione migliore,  dico  solo che l’affidamento alla madre è sempre scontato.

L'importante è pensarci.

La battaglia e la  discussione  si  spostano  così, di fatto, solo sul piano finanziario  e  cioè sulla misura del contributo da versare al coniuge affidatario per il  concorso al mantenimento dei figli. Questi sono i  motivi  di    scontro più frequenti che noi Avvocati cerchiamo poi di  mediare.

Si va davanti al Presidente del Tribunale, uno offre 100, l'altro pretende 500, il Presidente del Tribunale fa la media e decide per 250/300, e tutti a casa.

Dicevo prima che la prassi sopra descritta risente evidentemente della super valutazione del ruolo materno proprio di questa nostra società post- moderna, che sta  di  fatto oscurando e relegando ai margini la figura del padre. Se è infatti vero che il diritto primario dei figli, come ho detto prima, è quello  di avere una famiglia, è altrettanto vero che essi  hanno comunque  diritto ad avere un padre e una madre che  svolgano  le funzioni  ad  esse assegnate dal buon Dio  fin  dall'origine  del mondo.

i figli hanno diritto di avere anche un padre.

Non spetta  certamente  a  me analizzare l'importanza del padre  nella  formazione umana di un figlio, ma certamente oggi si assiste purtroppo  alla triste  situazione  in cui il padre troppo spesso è  relegato  al ruolo  di ufficiale pagatore, personaggio tollerato appena  dalla madre,  che gli consegna i figli spesso riluttante e solo perché costrettavi dalla legge e dai  provvedimenti  giudiziari.

Spesso mi si dice: " Avvocato,ma devo proprio dare i figli a quello là? Posso  fare a meno di darglieli? Cosa mi succede?". Sono domande che i clienti mi fanno in continuazione.

E` chiaro che il fallimento di un  matrimonio  genera spesso odio, rancore  e disprezzo reciproco tra i coniugi, stati d’animo tutti che portano anche  inconsciamente  a scaricare  sull'altro  le colpe del fallimento. Con  il  risultato  inevitabile  che i figli, percepiscono questa disistima reciproca, e la captano non solo dai discorsi, ma soprattutto dagli atteggiamenti, soprattutto dal modo che i genitori hanno di porsi,  di  parlarsi,  anche se formalmente si rispettano.

I figli vivono con estrema sofferenza questi rapporti con  entrambi  i genitori  e  si sentono spesso, soprattutto i bambini,  colpevolizzati per la rottura del matrimonio dei genitori.

Questo è un aspetto gravissimo che viene spesso sottovalutato, anche da noi avvocati.

Il sistema dell'affidamento dei figli nella prassi giudiziaria  non aiuta certo né i genitori, né  i  figli, perché  sostanzialmente non è in grado di rispettare le  esigenze primarie di questi ultimi, che esigono di avere la presenza sì di una madre, ma anche e soprattutto quella di un padre che sia loro di guida e di riferimento. Spesso i tentativi fatti dai padri per mantenere  il  proprio ruolo ed avere più  penetranti  poteri  di intervento  nella  vita anche spicciola e  quotidiana  dei  figli trova  un  muro invalicabile nelle opposizioni  delle  madri  che vogliono limitare al massimo tali interventi che considerano vere e proprie intromissioni.

E trovano dei limiti anche nella rigidità di regole spesso fissate nei Tribunali in modo stereotipato  e senza avere veramente esaminato l'effettiva situazione di  fatto. Mi è capitato (più nel passato in verità perché evidentemente sta cambiando la sensibilità) che i miei clienti fossero mal visti e mal sopportati  anche dai Giudici perché rivendicavano il diritto di esercitare la loro paternità  in  modo più penetrante: erano  dei  rompiscatole,  in fondo.

"Ma cosa vuole lei? Paghi il suo assegno, vada a vedere  i suoi figli quando vuole e non disturbi, abbiamo altro da  fare!". Oggi, fortunatamente, sta emergendo anche se con fatica la necessità   di rivedere il sistema degli affidamenti e  sta  prendendo sempre più piede la prassi del cosiddetto affidamento  congiunto. L'esercizio della patria potestà, che nell'affidamento  esclusivo è riservato appunto in via esclusiva al genitore affidatario  con la sola possibilità per l'altro di interloquire nelle scelte  di  maggior  importanza, nell'affidamento congiunto viene lasciato  a  entrambi con uguali poteri.

Anche se, per ovvi motivi, uno dei  due coniugi dovrà vivere con i minori, diventando così non più  affidatario,  ma - parola orrenda che  mi rifiuto di usare – “col locatario”. Una parola  , una cosa orrenda; però così si trova.

L'affidamento congiunto viene indicato con sempre maggiore intensità  dai più attenti e studiosi operatori della materia come indispensabile per un più corretto esercizio delle potestà genitoriali.

Tanto è  vero  che nella elaboranda riforma  della  legislazione  sulla separazione  e  il divorzio, esso sarà destinato a  diventare  il sistema normale. Esso, tra l'altro, trova ancora notevoli ostacoli  nella  mentalità di troppi Avvocati e  Magistrati  perché  di  fronte agli inevitabili problemi che esso comporta - e qui sta il punto  - preferiscono ancora una soluzione più semplice che  crea  minori problemi sul piano operativo, che è quella dell'affidamento  esclusivo quasi sempre alla madre.

Non c'è il tempo per andare a indagare, ed aiutare così i coniugi a  recuperare  la  loro genitorialità.

E certamente è anche più facile per i coniugi attenersi a una rigida regola di comportamenti prefissati piuttosto che lavorare per aiutarsi ad assumere gravose, ma ineluttabili  responsabilità.

La mediazione familiare viene ritenuta dai genitori spesso inutile.

Lo  spirito della  riforma  in  fase di attuazione  dovrebbe  proprio  essere  quello  di  costringere i coniugi ad assumersi fino in  fondo  la responsabilità  che la loro funzione di genitori impone nei  confronti dei figli, senza spaventarsi di fronte alle difficoltà  di dialogo che, specie nella fase della separazione, impediscono  ai coniugi di comunicare tra loro. Nel divorzio, come dicevo  prima, il  dialogo  è più facile perché il trauma del  disfacimento  del nucleo familiare di solito è stato assorbito e il tempo ha diluito  i conflitti. Ma in quella fase è ormai tardi  per  recuperare ruoli  genitoriali dismessi ormai da troppo tempo: se passano  due o più anni dopo la separazione per i  minori la frittata è già stata fatta e c'è ormai poco da fare.

Per fortuna ci si sta rendendo conto che le cose devono cambiare e  i  progetti  di  riforma  in fieri denotano un  positivo  cambio  di mentalità,  anche se come sempre non basta cambiare la legge  per  risolvere i problemi. E` illusorio pensare che con la riforma  si cambi e le cose vadano meglio. O come operare un cambio di mentalità in tutti, Giudici ed avvocati per primi, riportando l'attenzione  sul fatto che in fondo quelli di natura  patrimoniale  non sono  i  soli problemi che una separazione comporta e  neppure  i principali.  La  situazione è tale che una  nuova  mentalità  sta emergendo  ed  è quella che potrà (mi auguro presto)  creare  delle sezioni  di Tribunale della famiglia più specializzate di  quelle che ci sono adesso.

Di fatto c'è la sezione del Tribunale che  si occupa del diritto di famiglia, ma sezioni specializzate non esistono.

Sarebbe auspicabile anche una unificazione di competenze fra il Tribunale per i minorenni, il  Tribunale  ordinario.  Il Tribunale per  i  minorenni  tutela l'affidamento per i figli nati fuori dal matrimonio, il Tribunale ordinario per quelli nati invece nel matrimonio, però gli aspetti  economici sono sempre di competenza del Tribunale ordinario.

A me è capitato di dover ricorrere al Tribunale per i minorenni e al Tribunale ordinario  per la stessa problematica: per i problemi di affidamento  al  Tribunale per i minorenni e per quelli economici al Tribunale ordinario, con un dispendio di forze di denaro insostenibile.

Ad esempio per Verona è competente la sede di Venezia del Tribunale per i minorenni ed è scomodissimo, oltre che molto costoso, raggiungere tale sede.

E senza contare i tempi biblici necessari a ottenere una pronuncia del Tribunale per i minorenni è  eterno.

In un caso da me trattato il Tribunale per i minorenni di Venezia ha impiegato più di due anni per decidere una questione di affidamento:  una  cosa  folle.

Ma la prassi che si  sta  creando  è quella  di  fare intervenire sempre più, anche  nel  giudizio  di separazione,  operatori  qualificati  per aiutare  il  Giudice  a trovare la soluzione per l'affidamento più consono agli interessi dei minori.

Si assiste così al sempre più auspicato ricorso  alla mediazione familiare, che anche a Verona sta finalmente prendendo piede  anche per l’opera di convincimento dei  Giudici.

Essa dovrebbe consentire ai coniugi, messi da parte i loro problemi  e i  conflitti personali, di imparare a dialogare per  scoprire  la loro genitorialità e poter quindi operare scelte concrete più  consone all’interesse dei minori, pur nel rispetto dei vari ruoli e  funzioni che essi devono esercitare perché padre e perché madre.

Si  assiste  al diffondersi da parte dei Giudici di ricorsi ad esperti  - psicologici,  psichiatri, servizi sociali - per apprendere dati, informazioni e quant’altro si renda necessario per  una  corretta decisione  degli assetti futuri della famiglia.  Purtroppo  manca una adeguata informazione e sensibilizzazione dell'utenza.

E qui noi  Avvocati siamo i primi che dobbiamo fare mea culpa.

Risulta peraltro spesso impossibile ricorrere alla  mediazione  familiare perché  i  primi  a non volerla, a volte anche  solo  per  motivi economici (perché a Verona è a pagamento), o a non credervi sono i genitori stessi, che bisogna quindi convincere con pazienza.

"Ma  se abbiamo litigato e non ci guardiamo neanche in faccia non possiamo  collaborare….  Finalmente mi sono liberato di quello  lì  e  devo tornare a rapportarmi con lui".

A Verona dove vivo ed esercito la professione,  anche grazie  alla  saggezza  del Presidente  della  sezione  famiglia, delegato dal Presidente del Tribunale a trattare delle separazioni  e dei divorzi, si sta instaurando un fruttuosissimo  rapporto di  lavoro, tra Giudici, Avvocati, operatori sociali,  psicologi, mediatori familiari, che ha aiutato concretamente molte coppie  a riscoprire  la  propria genitorialità.

Teniamo degli  incontri periodici, ci si sente, si promuovono convegni, seminari e riunioni, proprio per creare quelle sinergie per capirsi e conoscersi  innanzitutto.

E’fondamentale conoscersi,  capire  come  uno agisce,  come  uno si muove ed è molto utile questo  lavoro,  che richiede peraltro molto  tempo.

Ma non è tempo perso.

Il lavoro da fare è ancora molto, a livello soprattutto di sensibilizzazione generale.

La difficoltà maggiore comunque nella trattazione  dell'affidamento delle cause di separazione e divorzio, è data comunque dalla  scomparsa  nella coscienza collettiva dei  valori,  e più precisamente dei valori cristiani.

Di quei valori che ancora noi credenti riteniamo assoluti e  irrinunciabili.

Questo  è il vero dramma.

Viviamo ormai in una società che  non  dà  più alcun valore al matrimonio, che parifica le unioni di fatto al matrimonio con una facilità folle (matrimonio o non  matrimonio non  cambia nulla: l'importante è stare insieme).

In tema di  adozioni e di fecondazione assistita oggi si ritiene normale una convivenza adulterina.

L'adulterio ormai è una  cosa normale.

Basta vedere i mass- media: si parla sempre di partner e di compagno, sono sparite la parole “marito” e “moglie”.

Si recepisce  come valore e  viene presentata come modello  la  famiglia allargata, che si descrive come una cosa stupenda.

E’ una società che  impedisce ogni difesa del vincolo al coniuge che rifiuta il divorzio e vuole rimanere fedele appunto al vincolo matrimoniale.

Allora, in questo contesto è  impossibile  fare valere  il diritto dei minori di avere una famiglia, si può  provarci ma...

Nella mia esperienza professionale molto spesso mi sono trovato a difendere mariti che hanno dovuto supinamente accettare  l'abbandono  da parte della moglie, andata a  vivere altrove,  dopo aver intessuto una relazione  sentimentale con un altro uomo, moglie che si è vista assegnare i figli in affidamento esclusivo.

Figli stesso adolescenti o preadolescenti, con la sola motivazione che i figli devono stare con  la  madre.

Questo è inaccettabile!

Siamo davvero sicuri che i figli  minori sempre  e comunque e a qualunque età debbano stare sempre e  solo con  la  madre?

E se la madre si unisce ad un altro uomo e il marito rimane fedele al vincolo non può tenere lui i figli per dare loro un senso profondo di famiglia?

Perché il coniuge che non si risposa e che rimane fedele al vincolo contratto mantiene vivo il valore della famiglia, e ciò è fondamentale  per i figli.

Il problema è  che  non  si  crede più nella famiglia e quindi questi valori passano.

Mi fermo qui  perché  non sono un esperto di psicologia. Ma credo  che  un padre  non  possa  vedersi espropriato del diritto-dovere  di esercitare il proprio compito, che è oggi è ancora più importante - se si vuole - di quello materno.

E la prassi  giudiziaria questo diritto-dovere, pur sancito dall'articolo 155 del secondo  comma,  ("Il padre ha il diritto-dovere di vigilare sull'istruzione ed educazione dei figli") lo fa degradare sempre più a semplice facoltà.

In altre parole, il padre può andare a vedere i figli, ma se non ci va peggio per lui.

Con il risultato che molti padri di fatto, poi, non  sono aiutati a svolgere il loro ruolo: si scoraggiano, si demotivano e nelle  sporadiche  occasioni in cui stanno con i figli  sono  più portati  a catturarne l'affetto e la stima che ad  esercitare il loro ruolo che impone spesso l'obbligo di infliggere ferite, per insegnare loro la difficile arte del vivere.

Il padre è colui che ferisce il figlio, se non altro perché detta le regole e già il non rispettarle comporta l’applicazione di sanzioni.

E’ il padre che “costringe” il figlio a staccarsi dalla madre per trovare la propria autonomia e acquisire la propria personalità ed è quindi lui a infliggere la prima “ferita esistenziale”.

Se manca ciò, il figlio non può crescere.

Invece troviamo spesso padri mollaccioni che viziano i figli, che cercano l'affetto in fondo il loro affetto.

Se poi i figli vivono nella cosiddetta  famiglia allargata,  e io ne ho avuto esperienza, cioè con il partner e i figli del partner di uno dei due genitori - così si usa adesso - il ruolo del genitore non affidatario si stempera ancora di  più.

Che ruolo può avere un padre quando i figli vivono il quotidiano con un altro uomo, che magari è padre dei suoi fratelli, ed esercita il ruolo di padre nei loro confronti.

I bambini ne escono confusi, non capiscono più nulla e il padre  a poco a poco viene a perdere la sua identità.

Le conseguenze sono sotto gli occhi  di tutti.

Ho parlato,e mi avvio a chiudere, quasi esclusivamente del ruolo del padre, perché, in questo assetto attuale dei procedimenti di separazione divorzio, è quello che viene calpestato e sottovalutato maggiormente, proprio forse perché oggi a essere in crisi  profonda di identità è proprio l'uomo, il maschio, che  si sente troppo spesso degradato,soprattutto in una famiglia ristretta a tre o quattro componenti al massimo, al ruolo di semplice produttore di reddito o di colui che può conferire dignità sociale alla famiglia.

Nella famiglia mononucleare si sviliscono i ruoli, il padre perde  la sua funzione.

Io ho la fortuna e il dono di  avere  una famiglia  numerosa,  ho otto figli, e quindi  sono  costretto  ad occuparmi del problema del bambino di due anni, di quelli che vanno all'asilo, degli adolescenti e di quelli che sono all'università.

Vi sono  costretto. Piacerebbe anche a me stare lì a  produrre  solo reddito, garantire le vacanze, ecc....

No, devo invece prendere le decisioni anche se “impopolari”, perché ho una moglie che mi costringe  a  fare  il padre  e  la  ringrazio.

Capite  bene in che senso dico questo.

E’ necesario fare prendere  coscienza agli uomini che il partecipare alla paternità di Dio, l'essere il padre - con la P maiuscola - terreno dei propri figli è un compito irrinunciabile. Le mogli, spesso, sono costrette a supplire proprio per la carenza di questi padri.

Credo che se le donne in genere e le mogli in particolare si rifacessero a Maria e imparassero  cosa voglia dire essere sposa e madre, forse le  cose  cambierebbero.

Forse aiuteremmo le giovani coppie a recuperare la loro dimensione sponsale, indispensabile per creare una famiglia sana e felice.

Recupereremmo così il senso più pieno della famiglia.

E` stupendo pensare che l'Angelo riveli a Giuseppe e non a Maria i  progetti su Gesù: “Scappa in Egitto,porta con te il bambino e sua madre….”

L’Angelo non va da Maria, ma si rivela solo a Giuseppe.  Chiedetevi perché!