intervento della D.ssa Daniela Galardi

Psicologa in Milano

PRENDE LA PAROLA DANIELA GALARDI, PSICOLOGA IN MILANO:

Ringrazio  della  sensibilità    dimostrata da questo convegno nel  mettere insieme la professionalità degli Avvocati con quella degli  psicologi, perché  credo  che tra queste due discipline ci sia una grande affinità: penso,infatti,  che  gli Avvocati  debbano  essere dei buoni psicologi e in  qualche  modo anche  noi dovremmo  per certi versi garantire  un po’ la  legge  del profondo dell'umano.

 

Il mio compito consiste nell’aiutarci a capire quali siano  i disagi provati dai  figli rispetto a una separazione e ad un divorzio; disagi   che si esprimono soprattutto in difficoltà di tipo inconscio  di cui il bambino o l'adolescente  non è consapevole.

Difficoltà che si esprimono in genere in sintomi, in disagi psichici, ma anche   a livello corporeo,  somatico attraverso le malattie;    a volte  invece si evidenziano attraverso il comportamento, in una modalità  di essere  che  dice di motivazioni più profonde che  devono  essere capite.

Non entro nel merito di che cosa ha portato due coniugi al  divorzio e/o  alla separazione, ma parto da ciò come dato di fatto esistente.

 

La realtà è un positivo

La separazione  e il divorzio non sono  mai un momento facile: dal messaggio trasmesso dai mass-media, per esempio dalle telenovelas, sembra che  due persone guardandosi negli occhi si  innamorino, decidano di vivere insieme e poi possano  dividersi come fosse “acqua fresca”. Invece l’interruzione di un rapporto affettivo non è mai una cosa facile. Ma soprattutto non è mai  una cosa indolore a livello profondo perché è sempre la rinuncia ed il fallimento di un progetto che è stato condiviso. E quando  un progetto che  c'era   viene meno c'è sempre una delusione  che genera  dolore,  perché in qualche modo ognuno di noi si proietta con speranza in ogni  progetto: in ogni  progetto ci siamo noi e questo vuole dire che ognuno di noi, se sceglie di modificare il progetto,  attua un cambiamento nell’identità di sé.

Ogni cambiamento, ogni  modifica  del modo di concepirsi  avviene attraverso la sofferenza. Ogni avvenimento della vita, ogni  cosa che accade ha in sé una sofferenza: che sia un avvenimento che corrisponde (  matrimonio, ho trovato la persona della  mia  vita, una nascita,ecc) oppure un avvenimento che non corrisponde perché non  piace rispetto alla realtà che andiamo immaginando ( la morte, la malattia, il fallimento), entrambi  di fatto creano difficoltà e in qualche modo  mettono  in discussione la nostra identità acquisita.

Per cui vorrei che iniziassimo a guardare la sofferenza dei genitori e  dei figli come la  possibilità di una  elaborazione anche positiva. Perché è attraverso la sofferenza che  noi capiamo di più chi siamo.

Pensare che nella vita dobbiamo  essere felici è giusto, ma teorico, soprattutto se per felicità si intende una realtà che  deve corrispondere sempre  all'immagine ideale  che  abbiamo  di noi stessi e/o della realtà. E diventiamo  depressi  e  infelici quando la realtà non ci corrisponde.

La realtà di per sé non è brutta, è la realtà  e noi  ci  confrontiamo con essa. La realtà ha sempre  il positivo  di farci  diventare più grandi e questa è la possibilità in qualsiasi  situazione: anche nel divorzio e nella separazione dei  genitori c'è  comunque  sempre la possibilità di una umanità  maggiore  per  gli adulti che stanno vivendo dolorosamente la separazione, ma  questo può valere, se aiutati,  anche per  i figli.

Questa è una sottolineatura che mi  sembra  fondamentale, perché  altrimenti questo divorzio sembra essere qualcosa -  come  ogni  altro avvenimento – “che ci è cascato addosso” e  da cui non riusciamo poi più ad elaborare un positivo per continuare a vivere.

Il figlio dice : "…. Ma i miei si sono divisi"; questo è il  dato, ma di fronte  a questa realtà con cui ti devi confrontare, come puoi porti?

 

Tra coniugi e figli non c’è confusione

Qual è il  problema  grande della  separazione? Per il bambino – soprattutto sotto ai 5 anni - è la perdita di quei punti  di riferimento che sono un padre e una madre e si diceva :" …I genitori non  possono rinunciare all'essere padri e madri, mentre  possono   scegliere  di separarsi dal coniuge" ma perché questo? Perché  il marito si sceglie e i figli sono un dono.

Noi genitori  concreiamo, partecipiamo alla creazione. E questo ci costringe a guardare, a contemplare il  fatto che questo figlio è non solo carne della nostra  carne, ma  è  qualcosa  che ci è affidato nonostante  noi.  Questo  è iscritto  così geneticamente nella nostra paternità e maternità che  non possiamo  rinunciare  a  ciò che siamo noi, per cui non possiamo  rinunciare  ai figli.  Questo  spiega  il passaggio dal diritto  di  coniuge  al dovere del genitore, perché il figlio è qualcosa che ci è dato, ci è  affidato in quell'amore casto che vuole dire  senza  possesso, perché  noi gli si possa offrire tutti gli strumenti perché lui realizzi  se stesso.  Non  si può  rinunciare alla genitorialità perché in quel  figlio  c'è  il desiderio di un marito, di una  moglie, che nel momento in cui hanno concepito si sono amati. 

C'è così il desiderio di un uomo e di  una donna  che si mettono disponibili alla possibilità di  un  figlio nel concepimento, ma c'è anche il desiderio del figlio di  venire al  mondo. Ciascuno di noi è portatore di un desiderio  non    riducibile e a cui  nessuno può rinunciare. 

 

Perché  la perdita di punti di riferimento è problematico per il  ragazzino?   Ciascuno di noi per realizzare la propria  identità  deve potersi confrontare con il  proprio  padre e con la propria madre che sono a loro volta essi stessi anche espressione  della interazione con i propri genitori.

Verso i tre anni, età in cui  Freud ha identificato l’insorgere del complesso  edipico,  è il periodo in cui il bambino inizia a cogliersi come “terzo”, come diverso e “altro” rispetto alla coppia di un uomo e di una donna che si amano.

Il figlio riconosce un'attrazione  per il genitore del sesso opposto e vede il genitore del  proprio  sesso come rivale; per cui la bambina avrà delle fantasie su "io da grande sposerò mio padre" mentre il maschietto penserà "starò insieme alla mamma per sempre". Perciò il genitore del proprio sesso è visto come “rivale” rispetto alla relazione idealizzata, ma è anche possibilità necessaria di “identificazione” per lo sviluppo armonico della propria sessualità.

Per il bambino è importante capire che la coppia  è già una realtà, e che lui è espressione gratuita di questa, ma non ne è esclusivamente lo scopo: il figlio è una  espressione  dell'amore di un uomo e di una donna, ma  non è la condizione  perché un uomo e una donna stiano  insieme condividendo il proprio progetto d’amore. Comprendere  questo  è importante: i figli possono  essere  l'occasione perché i genitori riflettano di più sulle motivazioni che hanno condiviso e che hanno esplicitato nella scelta matrimoniale, però i figli non possono essere  la condizione ultima perché due persone condividano formalmente un progetto senza amore.

Diversamente si finirebbe  per caricare il  figlio  di  una responsabilità non sua che trova espressione nell’affermazione: "Voi siete  stati insieme perché ci sono stato io". Questo è un fardello affettivo e psicologico  che il figlio può “usare” come ricatto rispetto alla coppia su cui inconsciamente esercita  un potere e che i genitori stessi  loro malgrado finiscono per subire.

Allora, il fatto che il figlio riconosca  che  la  coppia  è  coppia e che in questa coppia non si può “entrare”  vuol dire che il genitore chiarisce al figlio di essere già sposato e che in futuro il bambino di oggi diventato adulto si  innamorerà   e si costruirà la sua  famiglia.

Ciò favorisce che il figlio viva in una relazione di dipendenza , ma riconosciuto  con una sua propria alterità,  non  percependosi confuso nella realtà della coppia, con una propria  identità affettiva. Il  “tutti insieme  appassionatamente”  genera una grande con-fusione che non permette al figlio di cogliersi affettivamente autonomo rispetto ai propri genitori.

 

Allora qual è uno dei drammi  nella  separazione? Quando un genitore se ne va, se non c'è nessun altro  che   mantiene chiaro il ruolo coniugale vacante, il figlio che non ha superato le problematiche affettive relazionali  con il proprio padre e/o la propria madre,  vive la fantasia del "io diventerò il tuo coniuge" e in questo non diventerà più realmente autonomo. Per  cui quando poi il figlio si sposerà  affermerà  "quanto era brava la mia mamma  a  fare  le torte" non potendo  riconoscere che la moglie- che non è la rappresentante simbolica della propria madre -, magari non  sa fare  le  torte, però sa fare altro.

Ciò vuole dire che  noi  ci portiamo  addosso  le fantasie del rapporto infantile con i nostri genitori  che è vincente proprio in quanto prima relazione significativa, affettiva  per ciascuno di noi. Ma se noi non riconosciamo che  quel rapporto era un rapporto infantile, noi finiamo per ricercare  in qualsiasi  altra relazione affettiva ancora il primo affetto, non permettendoci di diventare  grandi.

 

Come e cosa comunicare ai figli

In caso di separazione e  divorzio  la cosa  più  importante - come dicevano prima - è  innanzitutto che il figlio possa comprendere cosa sta accadendo tra i coniugi e che la comunicazione sia quindi una comunicazione  a tre. Un marito e una moglie che possono con parole semplici e chiare parlare al figlio di come, riconoscendo dolorosamente la propria incapacità   a voler  il  bene dell'altro, piuttosto  che  continuare  a farsi del male,    rinunciano al  loro  progetto fallito e scelgono di dividersi.

Ma questo  non  vuole dire  che i coniugi possano  rinunciare al loro essere padri e madri.

Di fronte alla inevitabile scompaginazione della struttura familiare il figlio ha bisogno innanzitutto  di  una stabilità. Tale stabilità  si identifica nella “casa”. Rispetto al trambusto familiare che chiaramente pone  i bambini  in una grave difficoltà, è estremamente importante, nel momento in cui la coppia si rompe, che  la  stabilità del domicilio, della scuola, di quei riferimenti sociali  che per il bambino sono il contenuto degli affetti, rimanga definita.

Inoltre il bambino e/o l’adolescente ha bisogno di tempo. Ha bisogno di  tempo perché possa elaborare quanto sta accadendo e soprattutto  ciò che  “ non viene detto”  - perché ciò che non è comunicato a tre ed in modo esplicito  attiva nel bambino  fantasie infinite -.

Il  bambino quanto  più  è piccolo  si sente al centro del  mondo per  cui pensa  che il motivo della separazione dei genitori sia lui.  Non riesce  a  distinguersi  dalla relazione dei coniugi e non riesce a cogliere che c’è una responsabilità propria dei genitori diversa dalla sua:  c'è un modo d’essere, una libertà del figlio, ma c’è  la responsabilità  del  genitore  che potrebbe  riconoscere  di  non essere capace di essere adulto, incapace di concepirsi  marito o moglie del coniuge con cui aveva deciso di condividere  la scelta matrimoniale. La chiarezza nella comunicazione facilita nel  tempo che il figlio compia un percorso  in cui possa  elaborare come  questi genitori stiano vivendo delle  difficoltà  tali per cui il male minore potrebbe proprio essere  la  separazione  e  il divorzio.

Ci  sono infatti  delle situazioni  di  conflitto,di indifferenza o  di  “non detto” di una pesantezza così grave che a volte il dividersi  è il male minore.

Bisogna,quindi, permettere al figlio di elaborare anche la propria difficoltà di comprensione e la propria sofferenza potendone parlare con i propri genitori.

La  richiesta maggiore dei figli è di essere aiutati a comprendere quanto sta avvenendo nella loro famiglia e per questo è importante che anche i genitori siano aiutati a comunicare con  loro.

Importanti nei casi di separazione e divorzio potrebbero risultare le figure dei nonni che se non  “parteggiano” e non si intromettono nella realtà della coppia (però purtroppo è raro) sono i   testimoni della tradizione familiare.  Inoltre essendo agli occhi del bambino persone “sessualmente neutre”, risultano  più capaci di aiutare il nipote a capire e lenire  le difficoltà generate dai genitori.

 

Il ruolo del “terzo”

La  figura del “ terzo “ estraneo alla famiglia - il mediatore  familiare,  l’avvocato – ha il compito di porsi come “facilitatore” della  comunicazione,  permettendo che  sia ascoltato il figlio e siano ascoltati i coniugi  che  si stanno  separando.

Quanto più si cerca di tradurre  in  parole ciò che si sta vivendo, tanto  più si permette al bambino di vivere una coesione:  verbalizzare  quanto  sta accadendo esprimendo anche gli affetti le emozioni  i sentimenti favorisce che il bambino viva in  un'unica realtà.

Il  lavoro analitico  in fondo è questo: nella comunicazione si esprime una  parte di se stessi e quindi si parla di un Io; quanto più si è realmente ascoltati quanto  più ci si vive  accolti nel proprio essere “ io” diverso dal “tu” dell’altro . 

 

Altra  questione   importante è definire che la legge che sancisce il divorzio c'è ed è una scelta autorevole. Vuol dire che l’accadere di una separazione o di un divorzio non sono “ una  brutta  cosa”, ma sono condizioni  riconosciute dalla legge.

Per  cui  se  due genitori  arrivano  a separarsi non fanno una “ brutta  cosa”,  nel senso  che c'è qualcuno che sta dicendo che si può fare:  il  bambino deve essere garantito del  fatto  che  i genitori  hanno questa possibilità riconosciuta anche a livello sociale. La mia nipotina mi diceva: " In classe contiamo quanti sono i  figli di  coppie  stabili" perché ormai in classe sono più i  figli  di coppie separate.

 

Il valore di sé nonostante tutto

Per il  bambino  nel fare i conti con la separazione dei genitori è inoltre importante non rimpiangere il fatto di non essere nato. Il genitore deve  affermare con orgoglio e stima la gioia   che suo figlio  sia nato da quel rapporto amoroso; per il bambino è fondamentale  capire che lui è espressione di un amore,  fragile, ridotto,  di  magari  cinque minuti in un  momento...  però in quel momento è avvenuto l’incontro di due persone disponibili alla concreazione – in modo più o meno consapevole -  e la sessualità non mente su  questo. Per il bambino è fondamentale sentirsi  parte, inscritto in una storia che è  la sua storia, di un uomo e di una donna che si sono amati anche se poi questo affetto  è stato  disilluso,  negato, però  c'è stato e definisce la storia di ciascuno.

Per  il figlio  vuole dire non rimpiangere... non rinunciare  al  proprio  desiderio di vita reso possibile attraverso il desiderio dei coniugi di cui è  espressione.

Altrimenti è come se il  figlio  non  avesse storia:  "Ma io di chi sono?". Questo sarà poi il grande  problema dei  figli in provetta; "ma io di chi sono!".

 

Divorzio: un progetto fallito

Il  problema della  separazione  non è tanto un  problema  di contenuti : " perché il marito era ubriaco,  perché la moglie non faceva niente, perché  era depressa", ma il problema è che uno dei due coniugi ( o entrambi)  non è più capace di volere bene all'altro e questo  al  bambino deve essere detto! Non è il marito  “brutto  e cattivo”:  il marito non è brutto e cattivo, sono  io  che non sono più capace di stare con lui per così com'è.

Il  fidanzamento  serve  perché attratti dall'altro, si abbia un periodo in cui valutare come  questa pulsione possa diventare giudizio -che si traduce in un progetto condiviso di matrimonio-  attraverso e nonostante le qualità dell'altro che nel tempo inevitabilmente possono modificarsi o venir meno ( noi  oggi siamo belli, biondi ma un domani potremmo essere  grassi,  meno belli e magari malati).

Noi chiediamo di essere  voluti bene  per quello che siamo, non per la “carrozzeria” che abbiamo  o per i soldi che oggi ci sono e domani no. Quando uno rinuncia ad un progetto, è perché riconosce di non essere più capace di portarlo  avanti,  non perché l'altro è brutto, non  perché  l'altro  è cattivo. E questo è importante che il bambino lo capisca. 

Comprendere il dramma dell’incapacità del coniuge permette  al bambino di capire che  può  perdonare  i propri genitori. Questo è l'aspetto importante: vuol dire per il figlio rendersi  conto  che i suoi genitori in quanto coniugi si possono  dividere rinunciando a loro grande  progetto d’amore una volta condiviso, e perdonarli un giorno della  loro incapacità,. del loro fallimento.

Non siamo perfetti. Soprattutto dobbiamo constatare come sia possibile crescere solo attraverso gli sbagli: se si  riflette sull’errore, se si è educati a “guardarsi” per come si è - e non per quello che ci piacerebbe essere o per quello che piacerebbe all’altro che noi fossimo -, si può ricominciare di nuovo: questo è il perdono. Allora questi figli devono essere aiutati in questo  grande dolore a perdonare e a stimare i propri  genitori, pur nel loro essere stati incapaci, incoerenti. Il perdono verso se stessi e verso l’altro  è la possibilità perché nella sofferenza si possa  diventare umanamente grandi.

 

Quando c’è un forte conflitto tra coniugi

Di fronte a situazioni di grande conflitto,  meglio sarebbe  che  il figlio fosse allontanato per un periodo  in  una famiglia affidataria, in un convitto etc. piuttosto che rimanere spettatore di quanto sta accadendo soprattutto in presenza di violenze verbali e/o fisiche tra coniugi.

Quando il conflitto  è  agito  di fronte al figlio  diventa per lui grave motivo di non coesione perché di fatto non solo  si evidenzia  l'uso del figlio a cui viene chiesto di “parteggiare” o per l’uno o per l’altro dei coniugi,  ma ancor più l’affetto del figlio diventa contenuto di ricatto tra il marito e la moglie.

In questi casi,  purtroppo non  rari, se non si facilita la comunicazione tra i coniugi e con i figli stessi, piuttosto che esporre il figlio a tali relazioni conflittuali, è meglio l’allontanamento provvisorio che permette, a volte,  anche  ai genitori di riflettere su qual è il loro ruolo di padre e di madre.

 

Mi sembra importante riaffermare la funzionalità del ruolo dei  Giudici anche come coloro che possono salvaguardare il figli: clienti  non sono solo i genitori, il cliente è anche la  discendenza,  non solo a livello ereditario, ma anche a  livello  degli affetti. E questo vuole dire che una vera conciliazione può avvenire avendo ascoltato anche i figli. Allora la conciliazione, la possibilità di un “accordo” non è solo  una questione economica, o di definizione di chi debba essere il genitore “continuo  e/o discontinuo” ma di capire cos'è il  meglio  in  quella particolare situazione  familiare.

Ruolo del padre e della madre

Se c'è chiarezza nella funzione paterna e materna, se è chiaro il ruolo di ciascun coniuge rispetto al proprio figlio,  non è così problematico per il  bambino vivere anche con i due genitori separati. 

Né il padre, né la madre possono   rinunciare  al loro ruolo rispetto al figlio, ma tanto dipende  da  quanto ci si è permessi all'interno della coppia di valorizzare il ruolo materno/paterno del coniuge. E questo inizia  da quando il figlio nasce,  anzi addirittura  a  livello intrauterino; per es i padri sono quelli che più riescono a  tranquillizzare i figli alla nascita e nei primi mesi di vita, se abituati ad  ascoltare  la voce paterna, perché già nell’utero il bambino  percepisce di più la voce dell’uomo avendo  toni  più bassi della voce femminile.

Il padre è tale se una moglie lo rende  capace, lo aiuta, lo facilita a riconoscersi nel suo ruolo di marito e di genitore. Ma del resto, una madre sa essere veramente  madre  e  non possessiva rispetto al figlio se c'è un marito che  le  ricorda e la conferma nel suo essere innanzitutto  sua moglie. Ciascuno, infatti,  impara  ad acquisire il proprio ruolo di padre  di madre e di  figlio  nella costante dinamica interazione familiare che quotidianamente si crea. 

Ed il Giudice, quando è interpellato in una  dolorosa situazione di una separazione e/o di un divorzio,  deve tener presente ed aiutare  dove  possibile questo processo di identificazione dei ruoli. 

Non è questione di decidere chi è  meglio fra i due coniugi nella responsabilità educativa, ma si dovrebbero aiutare entrambi i genitori a riconoscersi il ruolo competente e ad assumerselo con responsabilità rispetto al figlio che si è generato.

Si considera come figura materna - “madre” facente funzione - chi  maternamente  sa  prendersi cura senza possesso del figlio. A  volte  ci sono  dei padri che in questo sono stupendi. A volte ci sono  dei   padri  che  fanno  da “madri” non cogliendo la peculiarità del proprio ruolo paterno, creando una certa confusione nei figli: il padre è la legge. Non  vuole dire che la madre non è autorevole ed aspetta il padre per sgridare il figlio; ma vuol dire che il padre è colui che garantisce in famiglia che i ruoli sia definiti, che non può esserci confusione tra la realtà della coppia e la realtà dei figli, che tutela lo stile e le regole della famiglia per es. di fronte ai figli adolescenti che vorrebbero imporre la loro autonomia. 

Il problema grande a livello culturale è come non  siamo  più educati a vivere da adulti – persone che hanno la consapevolezza del motivo per cui vale la pena di vivere, capaci di cogliere tutti i fattori della realtà  assumendosene le responsabilità inerenti - e quindi   non  possiamo essere neanche padri e madri.

 

A ciascuno il “suo posto”

Il Giudice attraverso le leggi - e la legge è importante perché definisce, sancisce l’ordine delle cose, dà un confine - aiuta il padre e la madre a definirsi, a darsi confini e questo  permette anche  al figlio di capire qual’è il suo “posto” nella interazione familiare.

Per es. consideriamo il  problema del diritto di visita: certo, più è definito e meglio è.  Però è importante per esempio che la madre - anche se il figlio quel pomeriggio ha il mal di pancia o non vuole andare dal genitore non continuativo oppure  quando il padre  non  si  presenta all’incontro programmato con il figlio - non  rinunci al proprio spazio di “libertà” dal figlio.

Perché la madre è la persona che ha in cura il figlio, ma non può e non deve rinunciare  alla  propria vita autonoma. I  figli  le  sono affidati, ma non vive solo per i figli.

Perché qual è il problema?  Una madre o un padre – ma sono soprattutto le madri - che per i figli rinunciano alla propria vita affettiva  e sociale spesso  arrivano poi ad incolpare i figli delle loro privazioni : "Guarda tutto quello che ho fatto con te" soprattutto quando il figlio non è confermante come si vorrebbe. Capita anche ai genitori compresenti di dire ai figli adolescenti che non corrispondono alle aspettative: "Con tutto quello che ti ho  dato"  ed il figlio si vive come “incastrato” e magari poi risponde nell’adolescenza: " Ma chi te l'ha fatto fare! Non sono io che tu ho chiesto di nascere".

Ancor più se un genitore vive solo in funzione del figlio rinunciando a sé, non solo fa il male del figlio non aiutandolo ad essere realmente autonomo, ma riduce il suo motivo di vita al figlio.

Ad  esempio  è importante che se il padre non viene e/o non sta  alle  scadenze,  la madre comunque si occupi e faccia vedere al figlio  che ha una vita personale a cui tiene per cui affiderà il bambino ad altri pur di mantenere “ un tempo per sé” . Anche  in questo le madri devono essere  aiutate.

 

Per i genitori che hanno grandi difficoltà ad incontrare i figli da soli, si parla per esempio di creare spazi neutri; neutri vuole dire luoghi, ambiti dove i  genitori  possono incontrare il figlio non  con  l'obbligo  di doversi presentare con un ruolo definito; uno spazio  dove  magari a volte c'è il mediatore, e a volte no, ma dove l'incontro sia  per il piacere dell'incontro. Pensiamo per esempio al  genitore che magari non paga gli alimenti per il figlio, ma poi lo porta per  due giorni a vivere giornate dove tutto è concesso per  cui agli occhi del figlio si  presenta sempre come il genitore vincente. Se uno  non paga potrebbe essere interessante aiutarlo ad esplicitare il proprio dovere di visita  in uno spazio neutro dove non può giocare economicamente,  presentandosi per quello che è. Per cui è meglio che il genitore con sofferenza riconosca di non riuscire ad assumersi  economicamente il figlio - perché non è detto che tutti siano in grado -, piuttosto che porsi di  fronte  al figlio in modo falso.

Oppure pensiamo come possa essere utile fruire di uno spazio neutro per quei genitori che non avendo una casa disponibile ad accogliere il figlio lo incontrano  al bar o al cinema.

 

Il “nuovo genitore”

Da ultimo,  consideriamo come il figlio vive il genitore che si rifà una vita,  che sceglie di iniziare un’altra relazione affettiva con un nuovo partner.

Per il bambino, per certi versi è  meglio da un punto di vista strettamente psico-affettivo perché si ricrea la realtà della “coppia” ed evita quelle situazioni di non chiarezza relazionale di cui abbiamo parlato. Viceversa il coniuge che mantiene fedeltà  alla sua scelta matrimoniale, anche se il partner   sceglie  di andare via, deve con chiarezza definire che la sua vita non è un funzione del figlio che non potrà mai supplire l’affetto coniugale.

Ci sono bambini che durante l’assenza di un genitore vengono  fatti dormire nel letto coniugale, questa cosa è  quanto di  più destrutturante per un ragazzino. Il letto matrimoniale  è di  un uomo e di una donna che si amano e il figlio non  c'entra. Se  il  coniuge  è  fuori per lavoro, perché c’è una separazione, perché è morto,  quel posto lì  è  libero perché  nessuno può prendere il posto del coniuge assente, neanche nei momenti in cui si avrebbe bisogno “di coccole”. Altrimenti il bambino  si  sentirà come  colui  che  dovrà sostenere affettivamente il genitore rimasto. Ma così distruggiamo veramente  l'autonomia del figlio.

Per  il  bambino quel “senso di colpa”  dovuto al sentirsi “motivo” delle difficoltà  vissute dalla coppia,  deve  diventare, invece, la responsabilità  della  propria autonomia. Un genitore allora potrebbe scegliere di rimanere da solo,  e questo è una decisione morale propria, ma deve essere anche capace  di  una  castità grandissima perché capace di reale gratuità affettiva rispetto al figlio.

La decisione del coniuge separato di   rifarsi  una vita  diventa per il bambino l’occasione di confrontarsi con l’autonomia anche affettiva  del proprio genitore che intraprende un nuovo progetto  di vita.  Questo  permette anche al bambino di  darsi  una chance, perché  quanto più il genitore  è  autonomo  affettivamente, quanto più per il bambino vuole dire poter diventare grande  e credere nel proprio progetto di vita.

 

A volte i figli  dei genitori separati  si  vivono  così distrutti dentro, così in “confusione” che non pensano di poter essere, da grandi, capaci di  fare qualcosa di meglio dei propri genitori. Per cui i figli di genitori separati  spesso hanno relazioni affettive presto, quasi a “provarsi” nella loro capacità di amare, che si concludono precocemente con  separazioni e divorzi , perché è come se non si  permettessero  una possibilità diversa da quella dei loro genitori.

Ma chi può dargli una possibilità  diversa?! Un genitore che possa dire "io ho sbagliato, ma sono certo che tu ci  riuscirai". Come si può riuscire? Quanto più un padre, una madre, un adulto, magari  a partire  dal proprio sbaglio aiuta l'altro, il figlio,  a diventare  grande riflettendo su quanto è accaduto, ma soprattutto quanto  più non “lo fa entrare” a livello simbolico in un  rapporto affettivo non proprio.

 

F. Dolto afferma che per i figli è meglio avere tre padri che non averne neanche uno.  Capisco  che può  sconvolgere, sembra paradossale, ma  per esempio  ci  sono  famiglie ricostruite,  dove    il figlio deve fare i  conti  con il nuovo partner del genitore. Se il genitore naturale ne legalizza la presenza richiamando il figlio al rispetto per la  persona  che si  ama -  come del resto in ogni famiglia  normale  il marito  deve  arrivare  a dire ai figli "tu non  ti  permetti  di parlare a mia moglie così, perché è mia moglie tu la rispetti" -  aiuta il figlio a riconoscere l’autorevolezza del nuovo partner che non prende il posto del genitore assente, ma in quanto adulto amato dal coniuge ne condivide anche la responsabilità educativa.

 

L’ adolescenza è il momento in cui il figlio rende espressi  i problemi  non  risolti dell’infanzia, come una specie di  “cartina  tornasole” di quanto ha vissuto precedentemente: 

l'adolescente che già deve fare i conti con il suo diventare  grande non può che fare emergere - molto spesso  a  livello somatico - quelli che sono rimasti  i “non detti”. In questi casi diventa urgente un aiuto di supporto psicologico o terapeutico perché il figlio sia aiutati a prendere consapevolezza della propria autonomia affettivo-relazionale.

Può anche essere che l'adolescente arrivi – è prevista già  dagli 8 anni questa possibilità,  ma l'adolescente può assumersi questa scelta con più responsabilità - a decidere di andare a vivere anche con il genitore non consecutivo, cioè con  il genitore con cui  è  stato meno,  e può essere adeguata nel rapporto genitore- figlio anche questa diversa possibilità.

L'adolescente, infatti,  ormai  può considerare anche quell'aspetto di  sofferenza, di dolore e di perdono di cui abbiamo parlato prima sapendosi rapportare ad entrambi i propri genitori con serenità.

Grazie.