27 ottobre 2013 - A proposito di registro sulle unioni civili

Lettera del Presidente UGCI Piacenza al Direttore de Il Nuovo Giornale

A proposito di unioni civili

 

Ho letto con attenzione l’articolo-intervista pubblicato su Il Nuovo Giornale di venerdì 25 ottobre scorso sulla proposta di istituzione, presso il Comune di Piacenza, di un registro delle unioni civili.

Sull’argomento, il Direttivo locale dell’Unione Giuristi Cattolici ha già approvato e diffuso un comunicato stampa, che, in sintesi, definisce l’iniziativa forzata ed arbitraria, inutile se non come propaganda ideologica, e contro la famiglia, quella fondata sul matrimonio, l’unica riconosciuta dalla Costituzione e dal legislatore.

L’articolo - intervista del 25 ottobre, che in alcuni passaggi richiede alcuni chiarimenti, sembra avvalorare tale valutazione.

Innanzitutto pare opportuno chiarire che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010 (dichiarando, con argomenti talora discutibili, infondate o inammissibili le questioni poste con i ricorsi), ha principalmente escluso l’assimilabilità delle unioni omosessuali alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna, mentre la Cassazione, sulla scorta di questa affermazione, con la sentenza n. 4184 del 2012, in una causa che si occupava della trascrizione in Italia di un matrimonio omosessuale contratto all’estero, negandola (con passaggi argomentativi pure discutibili), ha confermato che non esiste il diritto ad una estensione diretta e tout cour alle unioni omosessuali del trattamento assicurato dalla legge alla coppia coniugata, e che tale estensione deve invece passare, con riguardo a specifiche situazioni, attraverso il vaglio giudiziale (come p. es. è avvenuto per la automatica successione del convivente more uxorio nel contratto locativo).

I virgolettati riportati nell’articolo riguardano, quindi, semplici passaggi argomentativi e supporto di tali conclusioni, e non costituiscono l’oggetto principale delle decisioni citate.

L’istituzione del registro dovrebbe poi, nelle intenzioni dei proponenti, facilitare l’accesso delle unioni civili a determinati servizi comunali anche se, a quanto si legge, “si tratta di possibilità di per sé già a disposizione delle coppie di fatto (dall’assegnazione delle case popolari all’accesso agli asili nido per i bambini al riconoscimento del parente prossimo per i servizi sociali)”.

Si ha la conferma, così, che anche a Piacenza le unioni civili sono, di fatto, già in concorrenza con le famiglie regolari quanto all’accesso ai servizi comunali. Se, in aggiunta a questo, si considera, tra le tante, l’ingiustizia degli svantaggi fiscali e tariffari che già scontano le famiglie regolari, in particolare quelle numerose, rispetto alle convivenze di fatto, risulta che anche in questo caso è la famiglia ad essere ingiustamente discriminata (come da tempo affermano, p. es., dati alla mano, il Forum Famiglie e l’Associazione Famiglie Numerose, e come bene hanno ricordato i consiglieri comunali Negri e Botti), e l’istituzione del registro delle unioni civili avrebbe l’effetto di potenziare tale indebita concorrenza.

Pare, quindi, questo del registro delle unioni civili, un modo ben curioso di sostenere la famiglia tradizionale, secondo l’intento dichiarato dal consigliere Curtoni, a parere del quale, riprendendo il famoso dialogo tra il Card. Martini ed Ignazio Marino (pubblicato dall’editore Einaudi in un volumetto che reca, come eloquente sottotitolo, il seguente: “la chiusura aprioristica della Chiesa e delle religioni, di fronte agli inevitabili cambiamenti legati al progresso della scienza e della tecnica, non è mai stata di grande utilità”), ‘riconoscere le unioni civili è solo favorire le prospettive di stabilità a chi lo desidera’. Ben pochi, a giudicare dal flop dei registri delle unioni civili, ovunque istituiti.

E, comunque, viviamo in un contesto sociale nel quale la stabilità non è più garantita neppure nel matrimonio, nel quale la stessa si fonda su promesse solenni ed un impegno assunto pubblicamente alla fedeltà, alla coabitazione, alla mutua assistenza tra i coniugi.

Neppure le onerose conseguenze patrimoniali che vi sono connesse impediscono che lo stesso sia, infatti, squassato da frequenti separazioni e da divorzi, in una prassi giudiziaria che assomiglia sempre più ad una presa d’atto notarile della volontà delle parti, benché il diritto di famiglia, per il rilevante interesse pubblico che coinvolge, non sia materia disponibile per le stesse.

Pensare, quindi, che in questo contesto l’intervento pubblico (o l’istituzione di un registro comunale) possa favorire la stabilità della vita di coppia di conviventi more uxorio, legati tra loro solo affettivamente e per definizione refrattari ad assumere, in tale veste, impegni, pare quindi quanto meno ingenuo, e certamente velleitario. A maggior ragione se si consideri che gli affetti ed i sentimenti, sui quali -soli- si basano le convivenza di fatto, sono materia vaga e soggettiva e, come tale, irrilevante per il diritto, essendo incompatibile con la certezza che lo deve contraddistinguere.

Al di là delle intenzioni di chi lo propone, il riconoscimento delle unioni civili sarebbe quindi un attacco diretto alla famiglia fondata sul matrimonio, ed in concorrenza con la stessa, introducendo un nuovo istituto, para-famigliare e para-matrimoniale, in assenza degli elementi di interesse pubblico che contraddistinguono e giustificano il rilievo ed il riconoscimento della seconda.

Circostanza particolarmente evidente nel caso delle unioni omosessuali, per loro natura sterili ed inidonee a surrogare le funzioni educative della famiglia, le cui lobby a tale riconoscimento ambiscono nel tentativo di legittimare, come normale, una pratica della sessualità che pur tuttavia, a partire da Freud, Jung, Lacan, per arrivare ai moderni Anatrella, Nicolosi, ed altri valenti studiosi, rimane invece problematica, e sovvertire, così, la tradizionale visione della antropologia umana.

Non si può quindi che aderire integralmente alla posizione della CEI, citata in chiusura dell’articolo in commento, che ritiene la legalizzazione delle coppie di fatto “inaccettabile sul pia­no di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo”. Secondo la Conferenza Episcopale, “quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleteria per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro”  mentre “un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”.

E’ quindi ancor più auspicabile che avverso l’istituzione del paventato registro, le cui ragioni appaiono ancor più fragili, contraddittorie ed inconsistenti di quanto si potesse pensare, si coalizzi, a maggior ragione, una forte opposizione trasversale, sulla base dei motivi solidi e ragionevoli che, sia pure sinteticamente, si è cercato di illustrare.

 

Piacenza, 27 ottobre 2013.

 

Livio Podrecca