3 aprile 2011 - le dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) e l'eutanasia

L'intervento di Livio Podrecca

Le recenti selvagge incursioni della magistratura nel campo delle problematiche del fine vita, che sono costate, appunto, la vita, da ultimo, ad Eluana Englaro, rendono senz’altro necessaria ed urgente l’approvazione di una legge che sancisca in modo inequivocabile alcuni punti fermi che mai, prima d’ora, ci si sarebbe sognati di dover riaffermare, tanto erano evidenti e pacifici nel nostro ordinamento giuridico statuale.

E’, quindi, assolutamente condivisibile la posizione espressa anche di recente dalla CEI, tramite il suo Presidente, Card. Angelo Bagnasco.

Nel loro nucleo essenziale, tali principi sono riconducibili ai seguenti: 1) riaffermazione del principio della indisponibilità della vita umana e del divieto della eutanasia, sia attiva che passiva; 2) riaffermazione, assieme al divieto di accanimento terapeutico, della posizione di garanzia del medico e della medicina ippocratica, tenuti sempre ad operare per la vita e la salute del malato e non mai vincolati –come previsto dal medesimo Trattato di Lisbona- al rispetto delle DAT, salvo motivarne le ragioni; 3) divieto assoluto di sospensione della alimentazione e della idratazione, ancorché somministrati con atti medici; 4) Affievolimento del principio del consenso informato quanto il malato è in stato di incoscienza e non è più in grado esprimerlo in modo attuale (non foss’altro che per il subentrare effettivo della malattia, del pericolo di vita, di un nuovo stato di incoscienza, o di coscienza parziale, che potrebbe aver cambiato i suoi desideri ed il suo modo di sentire).

Sotto questi profili, pare che il testo unificato del progetto di legge attualmente in discussione in Commissione, pur con tanti ed indiscussi pregi, sia decisamente peggiorato rispetto alla versione iniziale, lasciando alla vocazione eutanasica di certi giudici e, purtroppo, anche di alcuni medici, pertugi destinati ad aprire nell’impianto normativo falle enormi e non più tamponabili.

La falla a mio parere più evidente è costituita dall’impianto normativo di cui agli art. 7 ed 8 del progetto di legge, relativo alla necessaria acquisizione del consenso informato al trattamento per i pazienti in stato di incoscienza: se tale consenso non vi sia, interviene una commissione medica, la cui decisione non è chiaro se vincoli o meno il medico curante, che, secondo tale disposizione, deve solo ‘essere sentito’.

La precedente versione della legge, invece, statuiva espressamente che il medico curante non era vincolato dal parere della commissione.

In mancanza di consenso per il paziente incosciente, l’art. 8 prevede l’intervento del giudice tutelare, su parere del collegio medico, sentito il medico curante. Lo stesso nel caso di inerzia al rilascio del predetto consenso informato da parte di chi è titolare del potere a rilasciarlo.

La questione torna, quindi, nelle aule giudiziarie e sui banchi dei giudici e, considerato che la somministrazione di idratazione ed alimentazione può essere, ambiguamente, sospesa, secondo il nuovo testo dell’art. 3, comma 5, del progetto di legge, laddove non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche necessarie per il corpo, si torna a dare il destro a valutazioni libere e più o meno arbitrarie della sussistenza di tali presupposti, con gli effetti ragionevolmente prevedibili per i nuovi casi Englaro che mi prendo il rischio e la responsabilità di prevedere.

Penso, quindi, che occorra assolutamente approvare, e con la massima urgenza, una legge in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento; ma che prima di tutto occorra rivedere l’impianto normativo in discussione, ripristinando concetti cardine quali la assoluta non vincolatività per il medico delle DAT, giusta quanto dispone lo stesso Trattato di Lisbona, soprattutto in presenza di pazienti in stato di incoscienza, ed il divieto del pari assoluto di sospendere idratazione ed alimentazione. Se questi ultimi non saranno efficaci, la vita si spegnerà naturalmente, ma non si sarà venuti meno all’obbligo di fornire al paziente il sostentamento vitale di base: mangiare e bere! Ciò, con ogni evidenza, non può mai costituire accanimento terapeutico.

Due considerazioni finali.

Il consenso informato, che oggi costituisce il cardine dello scivolamento della professione medica verso una sua concezione contrattualistica, è, di fatto, un mito. Tant’è vero che nella pratica si risolve in astrusi formulari, più o meno articolati, che al paziente assolutamente ignaro viene chiesto di sottoscrivere nell’ambito di una medicina orami senza ritegno definita ‘difensiva’.

Un ulteriore passaggio burocratico, e nulla più.

Superata la medicina paternalistica (nella quale, peraltro, molti pazienti, soprattutto anziani, evidentemente ignari dei prodotti purtroppo talora molto scadenti delle nostre università di medicina, ancora fermamente credono, e di cui hanno bisogno), l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, ispirata a principi solidaristici per cui tocca al medico la missione di curare, ed al malato quella di dare alla propria malattia ed alla sua sofferenza l’immenso valore educativo e valoriale che ha, accettando di impegnarsi, senza accanimento, nel lasciarsi curare senza sottrarsi ai vincoli di amore e di solidarietà sui quali si fonda, o deve fondarsi, prima di ogni altra cosa, il tessuto connettivo della nostra società; l’alleanza terapeutica (e non il conflitto personale ed ideologico) tra medico e paziente, dicevo, pare una buona sintesi delle esigenze del nostro tempo di garantire il valore della vita umana, della salute e della solidarietà, con quelle sia del medico a curare, sia del paziente a percorrere con dignità e consapevolezza la strada della sofferenza, piccola o grande che sia, che conserva, comunque, tutto il suo valore simbolicamente redentivo, inteso anche in senso laico, e scaturigine di amore e solidarietà tra i consociati, delle nostre occupazioni terrene.

Il mito della autodeterminazione è fuori dalla realtà.

L’ansia delle dichiarazioni anticipate di trattamento pare ispirato da ragioni freddamente ideologiche, dal terrore della morte proiettata sul medico e su una medicina divenuta ostile e difensiva, e dalla solitudine di chi non si sente amato, di chi non ha un Padre di cui fidarsi, che provvederà alla sua vita (ed alla sua morte) a tempo debito.

Le DAT sembrano infatti, a loro volta, un mito, il prodotto di una società orfana che pare, proprio per questo, inconsolabile.

Piacenza, 3 aprile 2011.

Livio Podrecca