Ripudio islamico e diritto italiano

Ripudio della moglie voluto dalla sharia: contro il diritto italiano

( Dal sito www.italiastarmagazine.it )

( Qui di seguito un intervento dell'Avv. Margherita Prandi pubblicato sul sito internet del Centro Rosario Livatino il 28 agosto 2020. Qui il testo originale )

 

Così conclude la Procura Generale della Cassazione in un procedimento riguardante la trascrizione in Italia di una sentenza del tribunale islamico di Nablus, in Palestina

Il caso

La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla liceità della trascrizione in Italia dello scioglimento del matrimonio per ripudio, dichiarato dal Tribunale della sharia di Nablus occidentale, in Cisgiordania (sentenza non definitiva del 29 luglio 2012). La sentenza era stata trascritta in Italia e la moglie aveva adito la Corte d’Appello di Roma per ottenerne l’ordine di cancellazione, evidenziando la non definitività del provvedimento del Tribunale di Nablus, la contrarietà all’ordine pubblico e il contrasto dell’istituto del ripudio islamico rispetto alla Costituzione italiana.

La Corte d’Appello, in accoglimento del ricorso, ha ordinato all’Ufficiale di Stato civile di cancellare la trascrizione. Il marito ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sostenendo: i) l’omesso accertamento sulla legge processuale straniera e sulle modalità in cui si era svolto il processo; ii) il rispetto del diritto di difesa della donna; iii) il mancato esercizio da parte del giudice italiano dell’onere di accertamento d’ufficio della normativa applicabile; iv) l’erronea valutazione e la violazione della legge straniera, in particolare rispetto a presunte lesioni del diritto di  difesa e al non avere la Corte accertato il venire meno della comunione tra i coniugi.

Con ordinanza del 1° marzo 2019 la Prima Sezione civile della Cassazione ha rinviato a nuova udienza, disponendo ulteriori verifiche sulla normativa palestinese, con la volontà di addivenire a una sostanziale valutazione di conformità o difformità della talāq (ripudio), rispetto alle norme e ai principi fondanti il nostro ordinamento, compresa la tutela della parità di trattamento tra uomo e donna.

In vista della pubblica udienza fissata per il 16 luglio 2020 – il cui esito non è ancora noto -, l’8 luglio il Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott.ssa Luisa De Renzis, ha depositato le proprie conclusioni scritte, alla cui integrale lettura si rimanda (seguono in allegato), e ha chiesto che la Corte respinga il ricorso, fissando il principio di diritto le cui linee possono essere così sintetizzate: “Una decisione di ripudio emanata all’estero da un’autorità religiosa (nella specie tribunale sciaraitico) è equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, tuttavia ne è escluso il riconoscimento all’interno dell’ordinamento giuridico statuale italiano per il contrasto con l’ordine pubblico, a causa della violazione dei principi giuridici applicabili nel foro sotto il duplice profilo dell’ordine pubblico sostanziale (violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna; discriminazione di genere) e dell’ordine pubblico processuale (mancanza di parità difensiva e mancanza di un procedimento effettivo svolto nel contraddittorio reale)”.

Le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale costituiscono una riflessione approfondita e sensibile alla tutela del debole, in linea coi fondamenti del nostro ordinamento.

Precedenti giurisprudenziali

Il ripudio, istituto disciplinato dal Corano, è l’atto con cui l’uomo musulmano decide di sciogliere il matrimonio, manifestando la propria intenzione. Il provvedimento che recepisce tale volontà, anche quando emesso da un’autorità giurisdizionale e non puramente religiosa, si traduce in una pura e semplice presa d’atto che recepisce la volontà del marito. La ricostruzione giurisprudenziale, effettuata dal rappresentante della Procura Generale della Suprema Corte, inquadra le problematiche giuridiche sottese alla fattispecie. In Italia numerose decisioni hanno evidenziato che il potere unilaterale di divorziare da parte dell’uomo, si trova in conflitto con il principio della parità dei coniugi, essendo solo il marito “abilitato a liberarsi dal vincolo” (Appello Torino 09.03.2006 in linea con App. Roma 09/07/1973; App. Milano 17/12/1991; Tribunale di Milano 24/03/1994). Dello stesso tenore anche la Corte d’Appello di Venezia (09/04/2015) che evidenzia nel procedimento di ripudio la mancanza “di un reale contraddittorio tra le parti” e la Corte di Cassazione (05/12/1969 n 3881) che indica le ragioni della contrarietà all’ordine pubblico nel fatto che il marito sia elevato ad “arbitro del vincolo coniugale”.

La Procura Generale della Corte di Cassazione punta pertanto a evitare che norme e sentenze straniere producano nel nostro ordinamento effetti contrari ai principi fondamentali, quali risultano anche nel contesto dell’ordinamento europeo e internazionale.

Ancora, le conclusioni della d.ssa De Renzis si addentrano nella definizione e applicabilità del limite dell’ordine pubblico all’istituto del ripudio, ove rimesso alla decisione unilaterale del marito.

Secondo le SS.UU della Corte di Cassazione (sentenza n. 12193 dell’8/05/2019), il concetto di ordine pubblico posto alla base della valutazione circa la delibabilità dei provvedimenti stranieri, è fondato sulla compatibilità della sentenza straniera con i principi fondamentali sovranazionali presenti nella Costituzione, nelle leggi ordinarie e nelle norme codicistiche italiane.

Si tratta di salvaguardare i valori condivisi dalla comunità internazionale, ma anche i principi esclusivamente propri dell’ordinamento interno, purché fondamentali e irrinunciabili. Il ripudio è un atto unilaterale sostanzialmente affidato alla scelta maschile, e in quanto tale contrasta coi principi di cui agli art. 2, 3 e 29 Cost., e con quelli di non discriminazione per motivi di sesso previsti all’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Convenzione delle Nazioni Unite ratificata dall’Italia in data 10 giugno 1985. Infatti, la pubblica autorità shiaritica di Nablus occidentale si è limitata a certificare la volontà del marito, quasi in funzione di omologazione, e la Suprema Corte (cfr. ordinanza n. 19453 del 18 luglio 2019) ha ribadito che il riconoscimento delle sentenze straniere presuppone che le decisioni siano state adottate nel rispetto del diritto di difesa e delle garanzie processuali.

Così, l’ordine pubblico italiano non viene rispettato laddove la donna non fruisca del diritto all’effettività del contraddittorio, che costituisce una garanzia processuale irrinunciabile in ogni tipo di procedimento.

Le conclusioni

La Procura Generale ritiene pertanto non delibabile la sentenza straniera in questione, in quanto in conflitto con l’ordine pubblico italiano sotto il duplice profilo sostanziale (violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna) e processuale (mancanza di parità difensiva e di rispetto del contraddittorio). 

Margherita Prandi Borgoni

( L'immagine è tratta dal sito di italiastarmagazine )